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Filippo Mennuni

Skipper della Rotta Rossa (2006), Evoluti per Caso (2007), Fisica in Barca (2007/2008), Porti del Mediterraneo (2009), Spedizione Australe (2015)

Ricardo Cufré

Il secondo di bordo, alter ego di Filippo. Spedizione Australe 2015

Mattia e Carlotta

L'equipaggio di Adriatica dal 2008 al 2012

Alice, Edoardo e Fabio

Ecco l'equipaggio della Spedizione Australe (2015)

Filippo Mennuni

12 January 2006 ore 10:00

La prima volta che ho visto Filippo ho notato il codino biondo, il viso pulito, il fisico asciutto e mi son detto: "Ma chi è, Christian Fletcher-Marlon Brando degli ammutinati del Bounty??!"

Poi, pian piano, è riuscito a farsi perdonare di essere un bell'uomo e, secondo me - premesso che io non mi intendo di queste cose - credo che sia un buon marinaio e un ottimo organizzatore di imprese velistiche...

Patrizio

 

La parola a Filippo


Vengo dal Lago Maggiore. Luino, che è anche il luogo di origine di Piero Chiara (scrittore), Dario Fo', Francesco Salvi (figlio della mia direttrice didattica alle Elementari) e Enzo Iachetti (che abitava a duecento metri da casa mia. Sempre da Luino viene il velista Flavio Favini, mio coetaneo, che é oggi skipper di Mascalzone Latino per la Coppa America. Piccolo paese, ma prolifico in personalità singolari. Da non dimenticare che della zona sono anche Massimo Boldi e Renato Pozzetto... Cito questi concittadini più famosi solo per significare che che dal lago, per avere successo, bisogna partire. Ed infatti é quello che ho fatto anch'io, scegliendo di andarmene per mare.

In realtà all'inizio non sapevo che avrei voluto navigare. Sentivo solo il forte desiderio di viaggiare e di vedere altro, altrove. Mio padre mi ha passato la curiosità per le cose, le persone e gli eventi. Mia madre la perseveranza nell'ottenere i risultati anche quando sembrano inarrivabili. Di mio ci ho messo il desiderio di vedere i luoghi... La vita mi ha dato la fortuna di potere fare quello che amo.

Alla vela ci sono arrivato relativamente tardi. Dopo avere scelto di arruolarmi in Marina per il servizio militare (roba da matti, perché ai tempi durava 18 mesi contro i 12 del servizio a terra, a cui io ero destinato d'ufficio) mi sono reso conto che il mare mi piaceva. Imbarcato su una nave idrografica, nave Mirto (e a bordo ne girava! Di quello da bere, intendo...), ho partecipato a diverse campagne idrografiche e insieme agli ufficiali dell'Istituto di Genova abbiamo scandagliato e rilevato diverse coste e realizzato le carte di alcuni litorali e porti italiani. Questo mi ha appassionato. Avendo un ruolo relativo alla navigazione su una unità piuttosto piccola ho potuto seguire la navigazione dalla plancia, di cui ero il responsabile. L'amore é stato immediato. Al congedo, non avendo alcun interesse a rientrare nel varesotto, ho chiamato i miei genitori e li ho avvisati che la mia vita sarebbe stata per mare, e che quindi non rientravo a casa. Ho iniziato a girare per cantieri e porti finché, il colpo di fortuna! Da Beconcini, storico cantiere spezzino che tante famose barche ha costruito e riparato (Croce del Sud, Scaggerak, Creole...) era in secco il Mariette, uno Schooner (goletta a due alberi) di 46 metri del 1916. Una delle 10 barche d'epoca più belle del mondo. Cercavano equipaggio. Il comandante, Eric Pascoli, che aveva al sua attivo una Withbread, la regata in torno al mondo per i 40 ruggenti, mi disse che dovevo fare un lavoretto di prova, e il posto di marinaio sarebbe stato mio. Non ci potevo credere. Chiaro che potevo. Volevo!

Beh, il lavoretto era scartavetrare, pulire, riverniciare con 7 mani di vernice i due alberi da 40 metri di quasi un metro di diametro. A gennaio. All'aperto. Lo feci. E imbarcai.

Fu il migliore inizio che avessi potuto sperare. I miei compagni di equipaggio non potevano essere migliori. Attilio, il secondo di bordo, a cui dovevo rivolgermi per ogni richiesta, visto che mi era vietato sia parlare al comandante se non espressamente interpellato che oltrepassare verso poppa l'lbero di maestra se non comandato. Una guida per il mio apprendimento. Toyo (Vittorio), il nostromo. La bibbia delle attività marinaresche. Tutti gli oceani tre volte. La mia scuola di vita a bordo. E poi gli altri: l'ufficiale di macchina (mai visto pulito dall'olio del motore), il cuoco (irascibile lanciatore di coltelli), la hostess (donna di Toyo, altissima e biondissima argentina con un carattere da bucaniere) e gli altri tre marinai, neozelandesi, con cui mi capivo a gesti, finché non mi hanno insegnato un po' del loro inglese da Kiwi.

Mesi e mesi di navigazione in Mediterraneo. Poi altri imbarchi. Lavori di cantiere. Scuola vela : Caprera e i Glenans.

Erano i primi anni ottanta e la nautica da diporto non era la stessa di oggi. In Italia lo skipper non esisteva nemmeno come nome. I nostri idoli erano i navigatori francesi. I nostri riferimenti Tabarly e Moitessier. Si navigava come si poteva e dove si poteva. Il sogno dell'Oceano e della Traversata.

La realtà dei trasferimenti invernali e delle stagioni in Sardegna, Corsica, Grecia. Per guadagnare di più si prendevano dei rischi, e per questo si accettava di correre in Corsica il venerdi pomeriggio e, navigando la notte contro un colpo di Maestrale, riportare ad Antibes o a Cannes le barche delle società di charter francesi che clienti sprovveduti non avevano il coraggio di riconsegnare, a causa del cattivo tempo. E siccome il sabato a mezzogiorno imbarcavano i nuovi clienti, durante la navigazione, in solitario con il polota automatico a cui affidarsi, si puliva, lavava, organizzava e riparava. Poi le cose hanno cominciato a cambiare. In Francia e in Inghilterra la professione si definiva e chi voleva essere "comandante" poteva contare su un'organizzazione di tutto rispetto, un inquadramento definito e il rispetto degli armatori. Ma questo significava possedere dei titoli professionali, studiare per mesi e poi sostemere esami in lingue diverse dalla propria. Investire tempo e denaro.

Se vuoi, puoi. Ed io lo volevo. E mia moglie, Elena, mi aiutava. Anno dopo anno, stagione dopo stagione, accumulando miglia, esperienze e titoli, ho conquistato un posto in questo mondo dominato degli anglosassoni. Durante questi anni poi, altre esperienze, parallele, come la scuola nautica per preparare i diportisti al conseguimento della patente e il club sul Lago Maggiore, con tanto di piscina, ristorante, pontile, cantiere e... due cabinati tutti miei : un Comet 800 e un Meteor.

Di tutto di più! Ogni possibilità di navigare mi avvicinava all'obiettivo : l'Oceano.

E Oceano fu! E che Oceano...

Un armatore, un mio vecchio cliente si era fatto costruire una barca da altura. Intendeva partire con la moglie per il giro del mondo e le maestranze di un cantiere turco, sotto contratto con una nota marca di velieri viareggina, ma al momento senza commesse, gli realizzarono il sogno: un progetto di Foschi, in acciaio, di 18 metri, da 40 tonnellate. Un po' troppo per l'esile professionista. Ma lui non lo poteva sapere. O forse si era fatto trascinare dagli eventi e quando si rese conto della taglia dell'impresa, ormai era così avanti nel suo progetto che non poteva ritrattare tutto. Dunque gli trasferìi la barca dalla Turchia a Venezia dove terminò di allestirla e si preparò al "grande salto".

Saltò. Ma cadde male. E anche a causa di un problema di salute, arrivato a Trinidad, rinunciò al progetto e rientrò in Italia.

A me l'incarico di riportarla in Italia.

Arrivai a Trinidad con un equipaggio francese. Videro la barca, confabularono tra di loro, ripresero l'aereo e tornarono a casa, lasciandomi solo a chiedermi se stavo per fare una pazzia. Infatti le condizioni del povero cutter erano di prognosi riservata : le ferramenta degli arridatoi erano corrose. Uno, quello del genoa, si era rotto di netto. Quello della trinchetta si ruppe a 1200 miglia dalla partenza dalle Antille e a momenti perdiamo l'albero. Poi trovammo il motore inutilizzabile (e lo rimase fino a casa nonostante infiniti interventi) a causa del gasolio corrotto che era diventato una gelatina, alcune pompe che non funzionavano, il pilota automatico in panne, il ché ci fece timonare per oltre 40 giorni, le batterie che si scaricarono dopo due giorni dalla partenza senza possibilità di recupero avendo il motore in panne, gli oblò che facevano acqua come se fossero aperti in permanenza ed una infinita sequenza di rotture, pannes e inconvenienti. Il buon Dio ci mandò due burrasche storiche e per due giorni fuggimmo con il mare in poppa a secco di tela. Rischiammo il tamponamento con due balene e a causa della mancanza di energia traversammo l'oceano con solo una lucetta bianca per farci vedere di notte. Alle Azzorre, non potendo stoppare la barca durante la manovra di ormeggio al pontile della dogana, tamponammo la vedetta militare.

All'ingresso di Gibilterra, che non riuscivamo a doppiare a causa del forte vento da est che durava da diversi giorni, mettemmo l'albero in acqua. Riparammo nel porto di Cadice, dove entrammo al seguito di un peschereccio, di notte, senza avere le carte. Finalmente arrivammo ad Antibes, dopo un'avventura che durò in totale un mese e mezzo e che mi fece dubitare di volere riattraversare l'Atlantico ancora, rivalutando le tranquille serate in rada a rispondere alle domande stupide di armatori interessati solo a mostrare se stessi e la loro barca ai propria amici che non possono che elogiare lo spendido ospite e la magnifica unità (anche perché stanno scroccando una vacanza a gratis). Se riuscii ad assolvere al mio contratto fu solo perche il mio amico "Albi" (Alberto Carraro, anche lui figlio del verbano), era con me a bordo.

Ma il tempo é galantuomo e i ricordi si addolciscono con il tempo, e così attraversai l'Atlantico varie altre volte. L'ultima quest'autunno, partecipando all'ARC su un Vismara 54' in carbonio Hi Tech. Negli ultimi 10 anni le stagioni in Mediterraneo si alternano alle navigazioni ai Caraibi. Le più belle sono quelle vissute al comando di Ushuaia, uno spendido catamarano di 19 metri, di un armatore argentino. Uno splendido rapporto di intimità con una barca che mi ha dato tante soddisfazioni. Le lunghe surfate a 18 nodi di velocità. Le nottate all'ancora a dieci metri dalla spiaggia. Le visite degli altri equipaggi a spasso per i Caraibi e il Mediterraneo, perché "...tanto da te c'é posto", in cui si tira tardi a raccontarsi di navigazioni e incontri.

Poi, con gli anni e le miglia accumulate ti viene voglia di vivere altro. Cerchi qualcosa che dia un senso diverso al tuo vivere il mare. E ti guardi in giro.

Un incontro: Patrizio. Un amico comune: Cino Ricci. Un'idea che ti appassiona. E scegli.

Scegli di andar per mare per condividere la tua esperienza. Scegli di navigare per una ragione più profonda del guadagno; sempre che si possa fare questo mestiere solo per soldi! Scegli di privilegiare gli aspetti umani, naturali, interiori della navigazione e di farlo per realizzare un progetto e raggiungere un obiettivo che dia un senso al tuo peregrinare. Quindi ti appassioni ad una compagnia e ti innamori di una barca : Adriatica.

Ecco che vi ho raccontato qualcosa di me. Difficile raccontarsi. Senza celebrarsi o auto compiacersi, ma cercando di spiegare perché si sceglie di fare un lavoro che é un modo di vivere. Potevo essere un tranquillo impiegato di banca. Potevo continuare l'università e specializzarmi in marketing, come pensavo di fare quando tutto era difficile.

Ho avuto fortuna. Sono ciò che volevo essere.

 

Filippo

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