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Storia e geografia delle Canarie

19 March 2006 ore 00:00

Un navigante portoghese del 1535 che andava da Lisbona verso le Canarie scriveva che le imbarcazioni "navicano per una quarta di garbin (libeccio)" per arrivare a quelle isole dette dagli antichi greci Isole Fortunate, in particolare a La Palma "abbondante di vini, carne, formaggi e zuccheri".

La stessa rotta verso sud che avevano seguito i fenici e i greci che si erano spinti nell’Oceano e che dovevano essere rimasti abbacinati dal grande Teide de Tenerife, 3710 metri di altezza (forse la grande montagna bruna di dantesca memoria?).

Regione autonoma della Spagna (7.447 Kmq e 1.843.000 abitanti in gran parte di origine spagnola e nordafricana), queste isole iniziarono ad essere colonizzate dai castigliani fin dagli inizi del secolo XV (dal 1403 il Regno di Castiglia rivendicò la sovranità sulle isole), novant’anni prima della reconquista dell’emirato di Granada (1492). Antichissima colonizzazione dunque, ma affatto pacifica, tanto che agli spagnoli occorsero quasi cento anni per terminare la conquista delle isole e sconfiggere le ultime resistenze della popolazione locale i “guanchi”che vennero sterminati. Di loro restano testimonianze nel Museo Canario di Las Palmas o il sito archeologico di Valeron.

L'altro aspetto devastante fu la modificazione radicale dell’ambiente, da quando i conquistadores iniziarono a distruggere intere foreste canariensi per coltivare la canna da zucchero e far funzionare gli "ingenios", i mulini dove la canna veniva spremuta, ridotta in succo che poi veniva bollito in grandi caldaie. La deforestazione provocò forti fenomeni erosivi sia a Gran Canaria che a Fuerteventura. Le grandi foreste dei guanchi scomparivano sotto i colpi dell’ "imperialismo ecologico" degli europei (secondo una definizione dello storico A.W.Crosby). La Spagna ebbe il suo zucchero bruno, le Canarie il disastro del loro ecosistema.

 

La canna da zucchero fu anche il filo conduttore di gran parte dell’emigrazione da queste isole povere verso i territori di lingua spagnola dell’America latina: questo fu il destino di molti canariensi come il padre dello scrittore di Hierro Josè Zamora Reboso (Relatos de inquietud y oscuridad, 1992) che "a Cuba , mio padre, a sedici anni tagliò canna da zucchero come un negro, fu sguattero di cucina dei contadini creoli, che gli erano grati per il buon sapore che dava al riso coi fagioli".

Un angolo povero della povera Spagna, dimenticato dai potenti: lo stesso Zamora Reboso ricorda una visita mancata del re di Spagna Alfonso XIII "simpatico, gioviale e Borbone" sull’isola di Hierro, con il suo regale accompagnatore che gli impedisce di scendere dal battello altrettanto regale, perché "un’onda gli aveva bagnato l’uniforme e immaginò che fossero arrivati degli schizzi fin sul volto di Sua Maestà". Fu il turismo a cambiare tutto: favorite da un clima costante (una media di 18° in inverno e 24 ° in estate), da una natura selvaggia, nonché di far parte di un paese europeo, le Canarie accolsero flussi imponenti di turisti, soprattutto tedeschi e inglesi, attratti dal sole e dal mare. Il più vicino dei paesi lontani, all’ombra delle palme.


Le coste si sono riempite di alberghi più o meno lussuosi e di opere esteticamente criticabili come l’autostrada che collega la capitale Las Palmas con le spiagge del sud di Gran Canaria.

Proprio Gran Canaria è considerato il piccolo "continente" dell’arcipelago (1560 Kmq e 714.000 abitanti, di cui 344.000 a Las Palmas). Riserva mondiale della biosfera dell’UNESCO (insieme a Lanzarote e Gomera), la Gran Canaria offre al visitatore ambienti diversissimi: la spiaggia di Maspalomas, un vero e proprio piccolo deserto di dune, quasi un assaggio di Sahara, la costa nord, caratterizzata da una folta vegetazione, la “sierra” montuosa centrale con il Pizo de Las Nieves (1950 metri). Il paesaggio delle isole in genere è molto vario con endemismi come la palma delle Canarie e il pino canario e coltivazioni che vanno dalla vite ai banani, dagli ulivi al tabacco. Per avere un’idea complessiva occorre visitare il grande Giardino botanico canario a Guiniguada con i suoi cactus, le palme, i pini, le euforbie.

Basta spostarsi in mare per godere anche lì della grande biodiversità delle isole: sulle 80 specie conosciute al mondo di cetacei ben 29 si possono osservare nelle acque delle Canarie. Poi il grande spettacolo della geologia in un arcipelago da sempre tormentato dai vulcani, ad iniziare dal Teide de Tenerife, ma soprattutto il Parco Nacional del vulcano Timanfaya a Lanzarote, un parco di 51 kmq in un’isola in cui sono presenti circa trecento crateri, percorribile anche con i "camellos" (i dromedari dell’isola) e che nelle forme tormentare ricorda le grandi eruzioni del passato , come quelle , rimaste famose negli annali, fra il 1730 ed il 1733 quando la lava, secondo una testimonianza dell’epoca, scorreva densa come il miele. 


Un mondo incantato e senza problemi? Non proprio: se le Canarie sono l’ultimo avamposto del turismo europeo in terra d’Africa, sono anche il primo lembo dell’Europa comunitaria (e quindi economicamente appetibile) di fronte a centinaia di chilometri di costa africana poverissima . E’ la porta della speranza per migliaia di disperati (assieme alle enclaves spagnole in Marocco Ceuta e Melilla, sempre più blindate, e al nostro Canale di Sicilia) che partono su vecchi barconi che ospitano, si fa per dire, decine di persone alla volta, pronte a sfidare i pericoli dell’Oceano per raggiungere questa piccola Europa insulare (distante dai 100 ai 200 chilometri). Solo fra gennaio e febbraio di questo anno 2006 sono sbarcati oltre 2000 immigrati, ma per i molti che riescono a sbarcare, centinaia muoiono in mare e nessuno ne sa più nulla (si parla, ma è una cifra approssimativa, di 4000 morti fra il 1997 e il 2004 per raggiungere le Canarie o Gibilterra). Stiamo passando la linea invisibile che ci divide dal cosiddetto Terzo Mondo, illudendoci di vivere tranquilli e ignari nel nostro Primo Mondo.

Ma lasciamo l’ultima parola al vecchio "velista per caso" portoghese del 1535: "da questa isola delle Palme sogliono prendere un de’ duoi cammini, cioè che, se le navi si trovano fornite di pesci salati per il viver loro (della qual vettovaglia fanno gran conto di averne sempre assai), vanno di longo all’isola del Sal, ch’è una delle isole di Capo Verde".


E allora buon vento fino a Capo Verde.


I ragazzi della 4°A Liceo scientifico tecnologico Mattei

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