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La transoceanica secondo Patrizio

2 March 2002 ore 10:00

Patrizio, di ritorno a casa, ha voluto renderci partecipi delle sue impressioni dopo la prima grande traversata su Adriatica e così risponde alle nostre curiosità.

 

 

Tullia Benati: Velisti avrebbe dovuto essere un viaggio più lento e rilassato di Turisti, ma non siete invece più stressati?

Patrizio: Noi facciamo una gran fatica a trasformarci da Turisti in Velisti perché innanzitutto sposare una filosofia di assoluta libertà, di tempi determinati dalla natura, quindi dal vento e dal mare, è molto difficile per chi si sforza di tenere in piedi anche un collegamento televisivo giornaliero, e una produttività di carattere televisivo e comunicativo. Io devo ammettere che durante la traversata e anche dopo mi sono rovinato da solo molti momenti che avrebbero potuto essere di grande distensione e di grande godimento perché ero in ansia per altri problemi: le parabole funzionano o non funzionano? abbiamo montato i cinque minuti?… quindi facciamo fatica.

In più c’è da dire che il viaggio ha alcuni momenti in cui siamo squisitamente Velisti, per forza, ma ci sono altri momenti in cui la barca è un veicolo, un filo conduttore che ci porta a visitare dei posti e allora lì l’atteggiamento è quello dei Turisti. E anche il fatto che noi siamo molto impegnati a raccontare ci impedisce di diventare dei veri marinai perché a volte abbiamo un appuntamento e se il vento cala, metti il motore, altre volte se Covre e Vanni sono sopraccoperta a fare le manovre, noi siamo sottocoperta a montare un pezzo di documentario. Quindi, difficoltà di trasformazione da Turisti a Velisti ce ne sono, eccome!

 

 

TB: Su Adriatica durante la traversata atlantica c’è stato tempo i per momenti di riflessione?

PAT: Molto relativo perché prova a calcolare: per girare i cinque minuti bisogna girare come minimo due ore, sei sempre lì con la telecamera in mano per cogliere l’attimo e capire quel che succede. Dopodichè devi in qualche modo rivederli, devi in qualche modo dare delle indicazioni a Giacomo e Giovanni perché li montino, loro li montano, poi vanno in qualche modo rivisti e definiti, poi Giacomo e Giovanni devono comprimerli che ci impiegano altre due ore, e trasmetterli che ci impiegano un’altra ora e mezza. Fai il calcolo e la giornata è passata, ma molto più della giornata.

Quindi, la riflessione nel vuoto pneumatico in cui uno ritrova se stesso, no non c’è stata. Ma forse è meglio così perché non ci credo tanto, credo che a volte siano delle parole d’ordine un po’ facili, un po’ scontate, un po’ moralistiche.Come mi sembra che insegnino alcuni maestri buddisti o affini, non è che la meditazione, l’”illuminazione” (tra virgolette), la consapevolezza uno le trova a comando quando spegne il motore, in tutti i sensi, in questo caso il motore mentale, e ha delle grandi intuizioni. Non è così.

Per esempio, quando noi siamo arrivati ad Antigua dopo la traversata atlantica c’è stato un momento in cui ciascuno faceva i cavoli propri, abbiamo fatto il brindisi, ma l’abbiamo fatto più per la telecamera che per la nostra vita reale. Era un momento in cui ognuno pensava quello che voleva, non aveva nemmeno bisogno di comunicarlo. Io personalmente ero arrivato nella mia testa altre 50 volte, quindi la volta in cui sono veramente arrivato, era scontata. Poi magari mi sono reso conto di questa roba dieci giorni dopo.

Qualcuno mi hanno detto: “Devi raccontare le tue sensazioni, magari bevi un po’ così ti lasci andare”, ma no! A parte che sono astemio, ma non funziona così… Io sono disposto a raccontare la verità rispetto a quello che io provo, non ho nessuna voglia di forzare la mano per decollare in voli pindarici-sentimental-ecologic-….’fanculo.

Io ho provato un sacco di cose lungo la traversata e le ho raccontate, poi le fate voi e ne provate delle altre. Io, ad esempio, quello che ho provato è un discorso molto complesso, ma anche molto interessante di adattamento fisico. Capisco ora quelli che vanno nello spazio che devono fare dell’allenamento perché le budelle devono smuoversi un po’. E qui la cosa è così: c’è un tale sbattimento, una tale perdita di senso e di orientamento…ma vedi che piano piano il corpo si adatta, e tutto ciò è bello e interessante! Dopodichè avevo trovato un equilibrio bellissimo con il cibo - anche forse per merito della cucina di Marianna (questo lei non lo sa, vabbè) - nel senso che mangiavo pochissimo e stavo benone (dopo l’ho già perso quando son tornato). Insomma, ci sono tutte una serie di cose diverse per ogni persona, io ho raccontato le mie, senza indulgere alle grandi intuizioni mistiche.

 

 

TB: E’ più duro il mal di barca o produrre i cinque minuti?

PAT: All’inizio la barca, adesso i cinque minuti. All’inizio la barca perché mi dovevo veramente abituare e io ho fatto alcuni giorni di malessere profondo, beh, si è anche visto e non l’ho mandato a dire. Adesso io non vedo l’ora di tornare sulla barca, ci starei bene. Mentre questi cinque minuti - senza offesa per il pubblico - sono un po’una fatica, sono un po’ un lavoro, non possono venire automatici perché è un prodotto troppo complesso. Se un domani riuscissi a farmeli uscire anche in automatico, cioè senza modificare quello che è il vissuto vero, sarebbe perfetto. Il problema è che fra il vissuto e la rappresentazione del vissuto c’è un po’ di corto circuito, cioè la rappresentazione del vissuto mi fa vivere peggio il vissuto.

Se poi si riuscisse mai a trovare un modulo produttivo per cui il vissuto passa direttamente nel racconto del vissuto, sarebbe l’ideale. C’è anche da dire che la televisione ha le sue esigenze e penso che il vissuto così com’è forse non sarebbe capito. Un esperimento di vissuto che passa direttamente nella rappresentazione medesima del vissuto è proprio “Il Grande Fratello”. Ma noi, primo, non possiamo permettercelo proprio in termini pratici perchè non siamo sempre in collegamento, nel senso che le parabole non possono trasmettere sempre, non avremmo neanche gasolio per alimentarle, insomma un disastro. Ma poi anche il Grande Fratello, non era il vissuto che passa direttamente nella rappresentazione, c’era una mediazione grande come una casa! Per cui anche quella è una bella balla… C’è questo snodo che è un po’ complicato.

 

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