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Adriatica è a Tenerife

1 October 2013 ore 00:30

di Filippo Mennuni.


Giovanni e io terminiamo la guardia. Tocca a Maurizio e Antonio. Ci siamo passati le consegne con semplicità e percepisco nel loro tono di voce la certezza di una notte tranquilla, senza sorprese. Del resto prima di montare a bordo di Adriatica a Brindisi nessuno dei due aveva mai navigato in notturna ne tantomeno gestito la navigazione con radar e supporti tecnologici come quelli presenti qui.

- "Tutto tranquillo, poco traffico di navi. Una grossa ci è sfilata di fianco sulla sinistra e ora è già lontana. Ce n'è un'altra di prua, venti gradi a dritta, da curare." Dico loro e completo le informazioni: -"Motore a due mila giri, randa piena e vento sui dieci nodi. È salito al massimo a dodici. In questo assetto può sopportare tranquillamente quindici nodi di vento reale, poi dovete lascare. Se sale e si stabilizza oltre i quindici chiamatemi che prendiamo una mano."

Giovanni conferma che ha appena riempito la cassa giornaliera, quindi per tutto il turno dovrebbero essere tranquilli. La giornaliera è un serbatoio ausiliario più piccolo, contiene un centinaio di litri, che sta tra i serbatoi principali (due da ottocento litri) e il motore. Si usa installarla per avere un gasolio più puro quando si naviga in luoghi del mondo dove la qualità del carburante non è garantita. Infatti tra i serbatoi principali e questa cassa si pongono dei filtri dove si forza il gasolio in modo che quello che verrà poi inviato al motore sia molto puro e non ci siano rischi di intasamenti di pompe e iniettori. Inoltre si trova più in alto del motore, così che se ci fosse un problema all'aspirazione potrebbe alimentarlo anche solo per caduta. Questa cassa va caricata ogni sei ore circa.

Alla fine di questo turno sia Giò che io abbiamo fame. Prima di andare a dormire ci ritroviamo in cucina a prepararci un'insalata che arricchiamo con formaggio e sardine. Questo semplice gesto ci dà la misura della tranquillità che regna ora a bordo. Possiamo mangiare senza rischiare di vomitare o di vedere il piatto scagliato sulla paratia a tre metri dalla tavola. Ed è un modo di concludere insieme il nostro lavoro iniziato quattro ore e mezza prima, la nostra guardia. Non parliamo. Non ce n'è bisogno. Siamo contenti. Poi un semplice buonanotte e ognuno nella sua cabina.

Mi sveglio alle cinque. Giorgio è al suo posto, pronto da un'ora al suo quarto solitario. Lo ammiro, perché con vent'anni in più di età rispetto alla mia, assume interamente la responsabilità e la fatica fisica del comando di questa barca non facile e di questa missione così carica di significati e di aspettative. 

Quanta gente a casa segue questa avventura? Quanti hanno riposto fiducia nella compagnia di velisti che si sta facendo carico di un viaggio così complicato, lungo, pieno di incognite, ma così ricco di memoria e di orgoglio per la nostra nazione e i vicentini in particolare?

Qui devo aprire una parentesi. Chi non ha voglia di leggere ancora una volta della mia delusione rispetto ad un paese, il mio, che non presta alcuna attenzione alle ambizioni e alle capacità dei propri cittadini può passare al paragrafo successivo, o smettere di leggere.

Da oltre dieci anni ho ridotto al minimo la mia attività di skipper per il charter o al servizio di armatori privati, cioè ho quasi smesso di portare "clienti" a fare il bagno in calette prestigiose o cenare in ristoranti da tre cappelli dove "bisogna" arrivare via mare, sennò sei OUT. Sempre più spesso ho prestato servizio su imbarcazioni che avessero progetti culturali, scientifici o anche solo divulgativi come obiettivo delle navigazioni. Questa attività è piuttosto comune in nazioni come la Francia, il Regno Unito, il Canada, gli USA. Ma a ben guardare è comunque più frequente trovare barche che realizzano programmi avventurosi addirittura in paesi come la Svizzera, la Polonia, la Russia, il Giappone. L'Italia giunge buona ultima, rinnegando di fatto la sua vocazione marittima. E questo dipende da vari fattori tra cui non ultimi l'incapacità dello Stato di favorire il mecenatismo, necessario a sponsorizzare questo tipo di progetti e anche un certo disinteresse delle imprese che preferiscono investire i proprio denari nella pubblicazione di ripetitivi e illeggibili libroni fotografici sulle chiese e le rocche del contado regionale, nell'attività sportiva di squadre dove si esibisce, con risultati piuttosto mediocri, il figlio di qualche politico utile all'azienda oppure in noiosi e inutili seminari in cui la parte intellettualmente più interessante sono le chiacchierate al ristorante, la sera, a convegno sospeso.

Ecco, La compagnia di Pigafetta 500 merita tutta la nostra stima per avere accettato di creare e gestire un evento lungo, complicato logisticamente e totalmente insicuro nel risultato per semplice amore della nostra storia e del Mare!

Un applauso ai vicentini. E qui chiudo la polemica.

 

La notte è tiepida. Il cielo è un tappeto di stelle che la luna calante non riesce a offuscare. L'onda lunga da Ovest culla la barca in un respiro infinito e regolare. Domattina arriveremo. Manca davvero poco, ormai. Dobbiamo addirittura rallentare un po' per non arrivare con il buio. Giorgio preferisce entrare con la luce per non avere rischi. Il piano del porto indica una barra di soli tre metri all'ingresso del marina. Se è così Adriatica non potrebbe entrare a causa dei suoi quattro metri di pescaggio e dovrebbe ormeggiarsi nell'avanporto. Iniziamo a chiamare Tenerife Port Control per annunciare il nostro arrivo e chiedere conferme sulla manovra di avvicinamento e entrata. Nessuna risposta. Eppure sentiamo regolari conversazioni tra una delicata e decisa voce femminile e le navi in transito.

Riproviamo: "Tenerife Port Control da velero Adriatica, nos reciben?" Tenerife Radio aquì el velero Adriatica llamando, cambio!" Ancora nessuna risposta.

Ci viene un dubbio: la nostra radio, per qualche ragione, ha un problema in trasmissione. Proviamo con il piccolo VHF portatile, ora siamo a sole due miglia.

Finalmete rispondono: "Aquì Tenerife Radio, velero Adriatica adelante..."

Grande! Ci spieghiamo e loro fanno da ponte con il Marina del Puerto de la Cruz. All'ingresso ci sono quasi otto metri. Possiamo entrare. Giorgio è sollevato. Tutto sarà più facile se potremo essere in banchina, con acqua dolce, luce, wifi.

Alle 8:20 ora locale passiamo l'imboccatura della diga esterna. Alle 8:40 siamo ormeggiati in banchina, di poppa con due corpi morti a prua. Spegniamo il motore, ci guardiamo e siamo soddisfatti. Il Pico del Teide, il vulcano di 3.700 metri che sovrasta l'isola, si accende nel sole mattutino. Verdi intensi, ocra, rocce nere e rossastre. Sabbie e graniti. L'isola è davvero bella.

Ci riposiamo poco, perché c'è molto da fare a bordo. adriatica deve ripartire tra massimo quattro giorni. Ognuno si da da fare per sistemare la barca.

Siamo nel pieno dei lavori quando sentiamo due voci nuove. Sono I due nuovi amici che imbarcano per la tratta dalle Canarie a Capo Verde, che chiedono attenzione. Uno è di Como. Fantastico! Dopo un'indigestione di vicentino finalmente qualcuno che parla con il mio stesso accento, quello lombardo. L'Italia è fatta. Ancora mancano gli italiani. Dopo dieci minuti siamo tutti intorno al tavolo del pozzetto per le presentazioni. Dieci minuti ulteriori e la tavola è apparecchiata. L'Italia si è immediatamente riunita intorno al cibo e al vino.

Pigafetta sarebbe contento. Sono soddisfazioni.

Commenti

Ragazzi, vi leggo e vi seguo con passione e un po' di invidia

Buon vento

inserito da Elio il 18/10/2013 alle 22:45

in bocca al lupo da Trapani, Giovanni.

inserito da giovanni ilari il 19/10/2013 alle 14:06

Ciao Filippo, sono Anna di Fogo.
Che bello saperti nuovamente in queste acque.
Dovresti vedere il nuovo look del "nostro" porto. Pare quasi di essere in occidente !
Abraço, Anna

Buon vento !

inserito da Anna il 26/10/2013 alle 13:31

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