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Partecipiamo alla caccia al maiale?

7 August 2002 ore 20:00

A Niuatoputapu, l’isoletta sperduta fra Tonga e Samoa, oggi volevamo fare un giro a piedi. Laurence, l’inglese, il marito di Elena (vedi il diario di ieri) ha proposto di partecipare ad una battuta di caccia al maiale selvatico. Io, che ai maiali voglio molto bene (anche se ai prosciutti di Parma voglio ancora più bene) sono rimasto un po’ perplesso, ma subito Gigi, lo skipper del Va’ pensiero (rivedi diario di ieri) ha annuito entusiasta, sfoderando il suo arco da tiro a segno e le sue frecce di carbonio con cui – giura – riesce a colpire un maiale anche a 50 metri.

Alle 8 del mattino, dopo una navigazione piuttosto complicata col gommone in un canale ricavato dai tongani facendo saltare la barriera corallina con la dinamite, ci siamo presentati al villaggio di Cairo (si pronuncia Cailo, perché qui non pronunciano la erre) che sarebbe il falegname che ha aiutato Laurence ed Elena a costruire il loro Resort pensiero (rivedi diario di ieri). Con Laurence ci sono i suoi figli, Phoebe e Robert, e i suoi due cani (di cui non ricordo il nome). Loro hanno solo le ciabattine (non i cani, Laurence e i figli) mentre io ho le scarpe grosse, le calze, i pantaloni lunghi e una confezione di spray anti-zanzare.

Partiamo. Cailo è in testa, e corre su per la montagna. La vegetazione è bellissima, anche se difficile da penetrare. Ad un certo punto finiscono i cortili e i giardini delle case e arriviamo ad una recinzione, che chiude tutta la parte “civile” dell’isola dal resto. Al di qua della frontiera ci sono i maiali ufficiali, quelli col permesso di soggiorno, quelli che hanno un lavoro regolare, cioè un padrone. Al di là è territorio di nessuno, ci sono i maiali extracomunitari, selvatici, che possono essere cacciati.

Sorpassiamo la barriera, nessuno mi chiede i documenti anche se, sudato, affannato e appesantito da mesi in cui in barca non mi sono mosso un granchè, sembro anche io un maiale. Il sentiero sale. Fatica. Gambe molli. Cailo corre e io arranco. I bambini non fanno una piega. Per fortuna quasi in cima alla montagna Cailo si arrampica come un gatto su un cocco e apre una noce a testa. A me, in genere, fa venire la diarrea, ma ho troppa sete. Ne bevo due.

Si prosegue: il sentiero è difficile ma la natura è talmente benigna! Qui non ci sono né serpenti né scorpioni, solo molte zanzare e qualche scolopendra (millepiedi) che al massimo ti fa molto male, ma non si muore. In cima il panorama è strepitoso: si vede tutta l’isola, i coralli, il mare. Meraviglioso. Come si dice: ripaga dello sforzo. Una cosa, per fortuna, non si vede. Non si vede traccia di maiali. Scivoliamo letteralmente a valle, per un altro sentiero.

Giù ci sono i contadini che lavorano. Lavorano tutti assieme, mezz’ora nel campo di ognuno di loro, per darsi una mano a vicenda. I campi, in realtà, sono spiazzi disboscati a fatica, dove fanno delle buche di mezzo metro in cui inseriscono pezzi di taro ammuffito, che germogliano e ributtano un nuovo tubero. La terra è bellissima, quasi unta tanto è fertile. Gigi taglia un banano giovane e ci offre il cuore di palma: è una novità anche per i polinesiani!

Un altro sforzo (per me sovrumano) e poi mi butto in acqua, davanti al Resort di Elena, davanti al panorama della barriera corallina e del vulcano.

 

Patrizio

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