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La Nuova Zelanda è una cerniera...

1 October 2002 ore 20:00

Oggi un amico-di-penna (come si diceva una volta), in realtà un ragazzo conosciuto via mail, Simone Garzella, mi ha portato a fare un viaggio nell’Univestità di Auckland. Simone è un italiano che è stato ad Auckland 6 mesi per fare, sul campo, una tesi sulla letteratura neozelandese. E quindi, in parte, sulla cultura Maori (che si dice non maòri, bensì màori, con l’accento sulla a, mi raccomando!).

Magari uno di questi giorni spero che trovi il tempo di scrivere sul sito qualche cosa su questo argomento. Argomento che – credo – sia oltremodo interessante perché in Nuova Zelanda, da quel poco che ho capito, si sta saldando la cerniera tra il Nuovo Mondo Sviluppato e Globalizzato (rappresentato dalla cultura anglo-sassone e americana) e il Mondo delle Antiche Identità Preindustriali e Tribali (rappresentato dalla cultura Maori, che è un po’ la capofila delle culture del Pacifico). Ma cosa dico "Pacifico"! Si dice Moana, alla polinesiana… E cosa dico Nuova Zelanda?! Si dice Aoteroa, come ho scoperto andando all’Università di Auckland con Simone Garzella e il suo amico Franco Manai, un sardo che invece ad Auckland insegna italiano e abita da anni.

Ma partiamo dall’inizio. Con Simone e Franco (che tra l’altro mi facevano da interpreti) sono arrivato all’Università e lì ho visto subito due edifici che mi hanno trasmesso subito un’idea della situazione: l’ingresso dell’Università sembra Oxford e Cambridge, ma in compenso dentro all’Univestità c’è un Marae, l’edificio in cui i Maori fanno le loro cerimonie pubbliche. Chiaro il concetto?

Simone mi ha organizzato alcuni incontri con persone che, sia pure nella mia superficialità da velista-turista-percaso, mi hanno segnato. Il primo incontro è stato con la signora Titewhai Harawira, la combattiva e coriacea leader del Movimento Tino Rangatiratanga, che vuol dire in lingua maori “Movimento dell’assoluta indipendenza”. La signora mi ha detto che, se proprio non sarà possibile cacciare tutti i bianchi da Aoteroa (cioè dalla Nuova Zelanda) spera almeno di recuperare tutta la terra. Infatti, dopo una serie di guerre, ci fu nel 1840 un trattato tra Maori e Inglesi, secondo cui il possesso della terra doveva restare ai primi, anche perché nella cultura polinesiana (e quindi maori ma anche tongana e figiana e samoana) il possesso della terra non è individuale, bensì della comunità.

Il fatto è che quello della signora è un movimento politico molto attivo, che pone al governo neozelandese un sacco di problemi veri. Per questo dico che, da come saranno o non saranno risolti, dipenderà su questa terra il rapporto fra Modernità e Tradizione, tra Sviluppo e Conservazione, tra singole Identità particolari e miscuglio Globalizzato. Il secondo personaggio che ho incontrato con Simone e Franco è stato il professor Okustino Mahina, un antropologo. Un signore imponente, tongano, che sta lavorando appunto alla riscoperta e alla valorizzazione della storia e quindi dell’identità dei Popoli di Moana, cioè del Pacifico. Il suo è un lavoro storico-antropoligico (da dove vengono i polinesiani?) ma anche linguistico e quindi concettuale, per recuperare davvero il senso di questa cultura.

Di questo e di altri incontri spero di riuscire a dare un’idea non troppo superficiale nei pezzi che dobbiamo montare per la TV. Perché non si tratta di curiosità neozelandesi: ci siamo dentro tutti fino al collo. Temi come la resistenza all’Europa degli inglesi, o la riscoperta (vera o finta che sia) di certe identità improbabili come quella dei Celti-lumbard, fino all’identità gastronomica dell’Italia o alla difesa della piccola industria reginale contro il Mercato, tutto fa parte di questo tema. Con Adriatica non avrò imparato a fare il marinaio, ma una cosa l’ho capita: siamo tutti sulla stessa barca…

 

Patrizio

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