Il sito navigabile dei Velisti per Caso!
twitter facebook friendfeed flickr youtube scrivi a

velisti tv

> newsletter

> cerca

> credits

iscriviti alla
newsletter


cerca nel sito

I segni degli Etruschi a Baratti e Populonia

21 June 2010 ore 12:00

Forte vento da ponente, nuvole incombenti e mare formato: per me che arrivavo da una notte in un comodo letto sulla terraferma lo spettacolo del Golfo di Baratti, con i colori esasperati dall’aria tersa e frizzante, era più che incantevole e entusiasmante. Le stesse condizioni meteorologiche non hanno reso altrettanto facile e piacevole l’approdo dell’equipaggio di Adriatica… è bastato poco però per recuperare il consueto entusiasmo e iniziare la giornata alla grande alla scoperta dell’incanto e della magia di questo luogo, con i suoi panorami mozzafiato e la sua storia antichissima.

Tutto è iniziato sul mare, spalle alle onde gonfiate dal vento impetuoso che per tutto il giorno ha spazzato il Golfo di Baratti, con una piccola introduzione su Populonia, l’antica Pupluna, unica città etrusca costruita direttamente sul mare, il cui sviluppo e la cui ricchezza si basarono fin dai tempi più antichi (IX-VIII sec. a.C.) sullo sfruttamento delle miniere di ferro, rame, piombo, zinco delle vicine Colline Metallifere e dei minerali ferrosi (ematite) dell’Elba e sul loro commercio soprattutto via mare. I rapporti con gli altri popoli marinari del Mediterraneo arcaico iniziarono ben presto grazie alle ricchezze minerarie che attiravano naviganti e commercianti da ogni dove, e via mare gli scambi non riguardarono solo materie prime o prodotti finiti, ma crearono una fervida e costante circolazione di uomini e di idee. Quella etrusca fu infatti una delle civiltà più “aperte”, sul piano culturale, del mondo mediterraneo di allora. L’Etruria fu terra d’accoglienza per i numerosi emigrati stranieri e lo sviluppo della sua cultura fu la conseguenza di questo multiculturalismo. Populonia, per la sua posizione direttamente sul mare, fu senz’altro uno dei luoghi più aperti e culturalmente ricettivi d’Etruria, che non subì mai gravi momenti di crisi economica, fino a che, dopo la conquista romana, non fu rimpiazzata dai nuovi mercati metalliferi scelti dall’Impero.

Dopo un breve spostamento in auto, con scorci mozzafiato sul Golfo di Baratti, tutto il gruppo si è riunito al Centro Visita del Parco. Il gruppo era composto da Syusy, Patrizio, Zoe, Giuseppe (l’operatore), l’equipaggio di Adriatica, da me e, per il Parco Archeologico di Baratti e Populonia, da Carla e Marta (Dott.ssa Marta Coccoluto, Coordinatrice del Parco).

Dopo aver commentato con Marta, con una guida in costume e con me alcuni pannelli illustrativi del Centro Visita sulle principali attività svolte a Populonia al tempo degli Etruschi (siderurgia, attività artigianali soprattutto legate alla metallurgia, navigazione e commercio), Maurizia ha guidato la visita dei resti dell’antica acropoli romana, che doveva estendersi sugli attuali Poggio del Castello e del Telegrafo (o del Mulino) e sulla sella che li collegava. Lungo l’area sacra, che comprendeva tre templi, un tempo maestosi, imponenti e coloratissimi, visibili anche dal mare, passava una delle strade principali della città, di cui rimane un lungo tratto perfettamente conservato.

Tutto il gruppo ne è affascinato e vuole provare l’emozione di seguire il percorso pavimentato in pietra di una via così antica… Ma ciò che in questa zona più ha attratto Syusy e tutto il gruppo sono stati due ritrovamenti in particolare, soprattutto per le suggestioni e i collegamenti transmarini che potevano evocare.

Sotto il basamento di uno degli edifici sacri è stata trovata un’apertura, coperta con una falsa volta, che conduceva in un vano sotterraneo di cui è ancora incerta la natura. Una tomba? Un antichissimo deposito votivo? Un sacro sacello? Il tipo di apertura e le tecniche utilizzate ricordavano a Syusy, alcuni edifici sardi o anche micenei… del resto è provato l’arrivo e il contatto di genti micenee in terra d’Etruria e i rapporti con la civiltà nuragica della vicina Sardegna sono ricordati dalle fonti letterarie e evidenti dai ritrovamenti archeologici. Poco distante, coperti da una fitta vegetazione, sono ancora visibili gli enormi blocchi calcarei delle antiche mura, contrafforti possenti per contenere quella parte della città a picco sul mare.

Mura ciclopiche? Maurizia si entusiasma e si fa strada nella macchia pur di scoprire altri blocchi posti a protezione dell’importante area sacra… ancora una volta possenti mura, simili a quelle già viste in tanti altri siti archeologici e antiche città in giro per il Mediterraneo … che i Pelasgi siano passati in tempi remotissimi anche da qui?! Molte cose lo farebbero pensare, come l’antichissimo e leggendario popolo dei Pelasgi, anche gli Etruschi di Populonia, conoscono i segreti della metallurgia, sono abilissimi navigatori e costruiscono mura “ciclopiche”!

Lasciati alle spalle gli edifici sacri dell’acropoli di epoca ellenistica (II sec. a.C.), a nord di un complesso santuariale leggermente più antico, in un’area utilizzata fin dal VII sec. a.C., cominciamo a salire verso il Poggio del Mulino o del Telegrafo. Alla base del Poggio sono ben visibili i contrafforti monumentali, e un tempo riccamente decorati, di una delle imponenti terrazze che erano state costruite lungo le pendici del colle. Le sei grandi arcate cieche, chiamate dai primi scopritori "Le Logge", hanno fatto pensare si trattasse del terrazzamento di una importante villa marittima in posizione panoramica. Si tratta invece dei resti di un edificio romano della metà del I sec. a.C., che sembra avesse originariamente un utilizzo sacrale, con ambienti pavimentati a mosaico forse ad uso termale. In una vigna soprastante il basamento monumentale dell’edificio delle Logge fu trovato anche il bellissimo mosaico policromo raffigurante un naufragio, e che riproduce una quantità sorprendente di specie ittiche dell’epoca, che oggi è visibile nel Museo Archeologico di Piombino. Raggiunta la sommità del Poggio del Mulino, scopriamo il perché di questo nome, un edificio a pianta circolare che sembra aver ospitato una grossa macina.

A pochi metri, un pannello mostra il disegno ricostruttivo del sistema di torri di segnalazione, a mezzo di fuochi o altri sistemi ottici, con cui, come precisato da Marta Coccoluto, la città di Populonia si teneva in contatto con l’entroterra e con le isole. Il territorio controllato dall’antica Pupluna infatti non si estendeva solo sulla terraferma ma comprendeva anche le isole dell’Arcipelago Toscano e tutto il tratto di mare che le circondava: il sistema di segnalazione doveva dunque essere lo stesso cui facevano riferimento anche i naviganti che frequentavano la zona. Gli antichi naviganti infatti non possedevano strumenti nautici per tenere la rotta o per evitare gli ostacoli, preferivano navigare di giorno, preferibilmente con la terra in vista e per tratti relativamente brevi. Ma talvolta questo non era possibile, poteva succedere di doversi affidare semplicemente all’esperienza o alla direzione del sole, per calcolare la direzione o l’altezza del quale non è escluso che esistessero rudimentali strumenti a bordo. Le navi raffigurate su vasi incisi e dipinti, intagliate nell’avorio o sbalzate nel metallo dei preziosi oggetti dell’arte etrusca oppure dipinte nei policromi e vivaci affreschi tombali di Cerveteri e Tarquinia, mostrano un elemento ligneo alto sulla prua con un piccolo braccio rientrante, chiamato con un termine greco akrostòlion, che potrebbe forse non avere una funzione puramente decorativa.

E’ suggestivo pensare che tramite questa sua parte anche le navi etrusche “parlassero”, indicando in qualche modo la rotta, così come si tramanda che facesse la nave Argo, condotta da Giasone e i suoi Argonauti alla ricerca del mitico vello d’oro. La nave era stata costruita con l'aiuto della dea Atena, che aveva personalmente intagliato la prua in un frammento di una quercia sacra, dotato della parola, per cui poteva profetizzare. Nel punto più panoramico del promontorio io e Maurizia (Syusy), scrutando l’orizzonte parliamo ancora di mare, di come nell’antichità questo fosse lo spazio più veloce di collegamento fra le terre ed i popoli, e di come gli Etruschi non fossero affatto, come si è creduto a lungo, solo un popolo di terra ma fortemente proiettato sul mare, perché questo era una risorsa naturale a loro disposizione, perché avevano legname in abbondanza per costruire le navi, capacità tecniche per fabbricarle e poi guidarle e molti prodotti da scambiare e commerciare. Il mitico e onnipresente nome dei Pelasgi continua ad aleggiare nei nostri discorsi, ci si chiede che origine abbiano e quando siano vissuti, ma questa è una delle domande a cui non si può dare una sola risposta, troppe supposizioni si basano su miti e leggende oppure su notizie riportate da fonti dubbie o poco attendibili. L’archeologia ci dice che le tracce di un substrato tecnologico e culturale, di un filo conduttore che sembra unire le sponde del Mediterraneo da est a ovest, esistono anche se spesso lo scarto cronologico è notevole. Ma allora ci chiediamo: è proprio necessario conoscere la provenienza esatta e l’identità precisa dei Pelasgi? Non potrebbe darsi che questo nome non corrisponda ad un unico popolo ma a delle caratteristiche culturali che hanno preso piede in alcuni territori e prevalso nel tempo, tramandate nei secoli tramite il passaggio di navigatori nomadi?

La giornata prosegue con la visita del luogo più antico del Poggio su cui un tempo sorgeva la città, i resti di un insediamento in cui è stata recentemente fatta una scoperta eccezionale. In una fossa sono state trovate decine e decine di tazze interrate, la prova che in quel luogo si era svolto un rituale di passaggio di potere da un signore regnante ad un altro. Come racconta Marta Coccoluto, incalzata dalle domande di Syusy, si tratta di una scoperta rarissima, fino ad oggi avvenuta solo qui a Populonia e sul Palatino a Roma. Adesso è il momento di tornare alla base, rifocillarsi con un piatto di squisiti spaghetti alla bottarga preparati dal cuoco Mario, autore della speciale e raffinata cena etrusca che si terrà in serata al Museo di Piombino.

La giornata prosegue e si conclude, dopo un breve tragitto in auto, giù per il colle verso il mare, nella zona delle necropoli più spettacolari ed antiche della città, in particolare nella Necropoli di San Cerbone con le sue imponenti tombe a tumulo e le tombe a edicola. Visitiamo la più imponente delle tombe a tumulo, quasi 30 m di diametro, datata dai meravigliosi oggetti del corredo al VII sec. a.C. La tomba dei Carri prende infatti il nome dai resti di un carro da guerra ed uno da parata trovati smontati nelle nicchie laterali del lungo corridoio che portava verso la camera sepolcrale. La volta a pseudo-cupola, crollata sotto il peso delle scorie ferrose che fino agli anni ’20 del Novecento ricoprivano interamente la necropoli, è stata ricostruita in vetro resina in modo da far rivivere al visitatore la suggestione di entrare, dopo aver percorso il corridoio di accesso lungo 12 m e alto 1,2 m, nel sepolcro di una delle famiglie più in vista di Populonia, probabilmente alcuni di quei ricchissimi principi che nel VII sec. a.C. gestivano le risorse minerarie e il loro commercio per mare.

Tutto il gruppo si raccoglie all’interno della tomba intorno alle due guide in costume e Syusy cerca di trovare analogie e collegamenti con altri Popoli del Mare e con le più grandi civiltà del Mediterraneo. La volta ricorda i nuraghi sardi, ma anche l’enorme tomba di Atreo a Micene… ma la luce che entra dal lungo corridoio nella camera al centro del grande tumulo le ricorda Newgrange, uno dei luoghi più magici d’Irlanda, costruito intorno al 3200 a.C. il cui utilizzo preciso non è chiaro. Probabilmente non fu solo, o non principalmente, funerario, ma certamente connesso alle cerimonie religiose e forse ad un culto solare. Si tratta di un’enigmatica testimonianza di una civiltà complessa e progredita che popolò l'Irlanda prima dell'avvento dei Celti e ben prima degli invasori Vichinghi, 6 secoli prima della costruzione delle piramidi egizie. Infatti al di sopra dello stretto passaggio dell'ingresso, un'apposita apertura permette, all'alba del giorno del solstizio d'inverno (21 dicembre), ad un raggio di sole di illuminare la camera centrale per 15 minuti, grazie a calcoli astronomici notevolmente precisi, non sconosciuti a diversi popoli dell'antichità. Per Maurizia questo non è casuale, secondo lei tutto è cominciato proprio lì, nel profondo nord d’Europa… e, a dire il vero, anche per gli Etruschi c’è chi sostiene un’origine dal cuore dell’Europa!

La mia giornata con i “Velisti per caso” finisce proprio lì, nella necropoli di San Cerbone, spazzata da un vento bello fresco e illuminata da una luce radente che la rende incantevole e magica: grazie Syusy e Patrizio per la bellissima giornata e la piacevolissima compagnia! Speriamo di ripetere l’esperienza molto presto!

A presto,

 

Giulia Pettena

Commenti

Bellissima esperienza! Io ero la guida che vi ha accompagnato all'interno della Tomba dei Carri e nella Necropoli di San Cerbone.
Saluti,

Barbara Noferi

inserito da Barbara Noferi il 10/09/2014 alle 15:49

Inserisci commento

Inserisci il codice

riportato qui a fianco

Questo website utilizza i cookie per migliorare la vostra esperienza d'uso. Proseguendo la navigazione date implicitamente il consenso all'uso dei cookie. close [ informazioni ]