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L'associazione Mediterraneo di Livorno, che realizza la rivista Nuovo Abitare, è un'associazione di persone che soffrono o hanno sofferto di un disagio mentale. Da quando è nata usiamo la barca a vela come strumento di integrazione e promozione della salute per tutti organizzando corsi di vela aperti alla cittadinanza. Sentendoci anche noi un po' "Velisti per caso" ci siamo confrontati con Cino Ricci e Patrizio Roversi sbarcati a Livorno per presentare la seconda edizione del "Giro del mondo".

 

Nuovo Abitare: L’esperienza con la barca a vela fatta nell’Associazione Mediterraneo, che realizza il nostro giornale, ci fa sentire un po’ “velisti per caso”. Noi infatti utilizziamo la barca a vela principalmente come luogo di integrazione: le nostre attività sono aperte non solo agli utenti della salute mentale ma a tutta la cittadinanza. E capita spesso che nell’equipaggio la persona che ha dei problemi non venga identificato come tale, perché una volta imbarcati cambia il concetto di abilità/disabilità. Cosa ne pensi Patrizio?

 

Patrizio: Il fatto che l’abile in barca può sentirsi disabile, o viceversa, e che c’è un’integrazione tra le diverse abilità è verissimo. Io non sono particolarmente abile nella vita però in barca mi sono sentito profondamente disabile! Ho sofferto tanto… e mentalmente stavo anche per dare un po’ fuori di testa perché il mal di mare è una cosa pesante, quindi confermo che c’è questa confusione di ruoli. Io per esempio ho avuto una lezione di come si va in barca - c’aveva provato anche Cino a spiegarmi delle cose, ed io le avevo capite teoricamente, però recalcitravo - quando sono andato in barca con un amico non vedente e lui mi ha ripetuto le stesse cose che mi diceva Cino. Lui timonava ed io dicevo “come fai a timonare?” e lui ridiceva “senti che il vento vien da qua: io sento la barca sotto i miei piedi, sotto il mio sedere quindi mi oriento e riesco a timonare” oppure “io ho visto la barca prima” perché in effetti si era fatto accompagnare in tutti i meandri della barca e ha voluto memorizzarli dopodiché si muoveva meglio di me: toccava una vela, toccava la randa e capiva tutto. Questo amico si chiama Giovanni ed è venuto su Adriatica alle Figi e in Nuova Zelanda: ecco, questa cosa qui mi ha dato un esempio forte di come ci sia un rimescolamento molto positivo di abilità e disabilità.

 

Nuovo Abitare: Come si fa a creare un’armonia in un equipaggio di “velisti per caso”?

 

Patrizio: Per quanto riguarda il paradosso dei velisti per caso… io sin ora non sono mai andato in barca come Vpc senza avere uno scopo potente, cioè senza avere un lavoro da fare, allora in quel senso tutto viene ordinato, cioè non puoi avere la crisi isterica o far l’asino o litigare con un tuo amico, sei per un lavoro, tu sei lì per far andare la barca, tu sei lì per montare il filmato, io sono lì per organizzare la cosa, per cui bando alle ciance e agli isterismi, e non si è mai litigato. I contrasti magari c’erano ma sono stati organizzati secondo una logica molto precisa, anche un po’ professionale, e io credo che anche la gente in vacanza dovrebbe fare così: cioè non si tratta di organizzare una vacanza come se fosse una galera però una vacanza deve avere una sua strutturazione, un suo scopo, un suo obiettivo, per cui le stupidaggini non trovano posto. Noi stiamo organizzando un altro giro del mondo, però in 80 persone, aperto a tutti, ma quando abbiamo un programma il programma è quello lì, e se uno proprio non ne ha voglia o si è pentito se è possibile si sbarca... non è che può mettere in discussione il progetto degli altri.

 

Nuovo Abitare: Molti velisti sostengono che non sia possibile realizzare un’organizzazione democratica su una barca a vela. Cosa ne pensate?

 

Patrizio: è meglio che risponda prima lui, perché se rispondo io mi butta nell’acqua!

 

Cino Ricci: non esiste!! Ci sono dei compiti e i compiti vanno eseguiti! Va spiegato prima il perché ci sono questi compiti, bisogna dare ad ognuno un compito, anche perché così si armonizza l’equipaggio, abili o disabili in barca oppure a terra non conta... e poi non c’è più la democrazia: ognuno deve fare quello a cui è stato comandato e lo deve fare bene, cioè meglio che può. Dopodiché si può discutere prima, si può discutere dopo, ma nel momento in cui si deve fare, ognuno fa, non si può dire "ma se però facessimo", "ma io direi che", in barca non c’è il tempo!

 

Patrizio: ...ma dunque allora devo ammettere che il concetto di democrazia è in grave crisi... in senso lato, per vari motivi, da una parte c’è Bush che la esporta a modo suo e tu dici ma ehm... dall’altra... quando la gente vota a volte dici ma la maggioranza avrà ragione?! In democrazia ha sempre ragione, poi in realtà ti vengono dei dubbi, ma questa è una parentesi che non c’entra (...)! Io sono d’accordo con quello che dice Cino a patto che ci sia sempre una comprensione collettiva di quello che succede. Nel senso che se io sono al timone e uno mi dice, “adesso viriamo!!” va beh viriamo lo capisco, ma o io capisco perché stiamo virando, e capisco che andavamo qui e bisogna andare di la per far un bordo, perché se non capisco io posso anche eseguire, ma poi viro e non so dove andare. Anche nella visione dell’efficienza della barca bisogna che ci sia una comprensione reciproca continua, che o è frutto di un allenamento prima, o chi da i comandi ha una capacità di sintesi notevole... certo il rompicoglioni no, quello che dice “no perché il mio ego è stato in qualche modo colpito dal tuo ordine”... va beh ma quello mica solo in barca anche in qualunque lavoro è una tragedia.

 

Cino Ricci: Se il comandante dice al timoniere “adesso viriamo”, e lui domanda “perché” come sta dicendo il nostro amico...

 

Patrizio: No, non dico perché... non voglio la filosofia voglio solo sapere perché!

 

Cino Ricci: ...Se la roccia è lì avanti, ci va a finire contro la barca e ci anneghiamo tutti! Se il comandante dice vai subito giù a sgottare, è segno che la barca va fondo; e uno dice “eh no però, mi dovresti dire perché, io devo andare a sgottare, perché non lo può fare lui”... ecco la democrazia... “perché non lo facciamo tutti insieme?”... NO tu vai sgot-t-a-re, e sennò ci sono i ceppi e alla fine il giro di chiglia!

 

Nuovo Abitare: Secondo la nostra esperienza uno degli aspetti più stimolanti dell’andare a vela è il fatto di doversi continuamente confrontare con i propri limiti e spingersi a superarli. E’ successo anche a voi?

 

Patrizio:: Guarda, io già alle scuole medie ero un bambino difficile dal punto di vista dei limiti fisici: ad esempio nel salto in alto il professore metteva l’asticella a mezzo metro, e io non ce la facevo a saltarlo, così, per un blocco psicologico, perché in realtà ero in grado di saltare mezzo metro, per cui per me il limite fisico è sempre stato un problema enorme. In barca secondo me i tuoi limiti te li trovi continuamente, ogni 5 minuti, ed è una sfida continua a superare questi limiti, che possono essere banali, che ne so, la barca è lontana un metro dalla banchina perché l’ormeggio è così per evitare che vada a sbattere e tu devi saltare e pensi “oddio ma magari se cado!!”, oppure andare in aiuto di un tuo amico che non riesce a mettere in chiaro una scotta perché gli s’è incattivita... insomma i limiti sono tantissimi, quindi in questo senso la barca è una continua scuola attraverso la quale superare dei limiti, questo è vero.

 

Cino Ricci: Sono d’accordo anche io, anche perché non c’è un limite nel far andare la barca sempre meglio. Il limite non c’è per esempio nello studio di come si prende il vento con le vele, non c’è il limite di come si affronta anche una burrasca, non ci sono limiti invalicabili, uno va sempre avanti. Anche uno come me che sembra abbia raggiunto dei limiti... non li raggiungi mai: quando sei sopra una barca, qualsiasi barca, tu cerchi di farla andare al meglio comunque, con le vele che hai, con la barca che hai e con l’equipaggio che hai. Per cui il limite è sempre da superare: quando voi portate in barca della gente anche loro non hanno limiti, voi continuate a farli andare e loro supereranno sempre limiti.

 

Patrizio: E’una soddisfazione enorme superare i limiti. Infatti è bello dal punto di vista della salute mentale di tutti avere queste prove e quando uno giudica un capitano in effetti a me vien da pensare “ma lui che limiti ha?”. E più i limiti sono alti più uno è rassicurato. Ti chiedi nella vita che mare ha visto, che sangue freddo si è fatto dall’esperienza... c’è il limite altissimo e anche il limite bassissimo, il mio, per esempio è... “cosa faccio vomito subito oppure supero il mio limite e aspetto una mezz’oretta?!”.

 

Nuovo Abitare: Ora una domanda da lupi di mare: qual è stata l’esperienza più avventurosa che vi è capitata durante il giro del mondo?

 

Patrizio: Un’avventura che abbiamo vissuto insieme io e Cino è stata quando abbiamo fatto la piadina a bordo di Adriatica nella traversata atlantica, è stata un’avventura perché la piadina non veniva bene come doveva venire, però a parte quello abbiamo fatto sempre una rotta tranquilla dove i rischi erano assolutamente limitati, ma una volta ci è successo che in Polinesia è venuto un vento pazzesco che ha fatto arare le ancore e siamo andati verso il largo, e si è anche rotto il motore, proprio in quel momento lì, però insomma con quel minimo di capacità di valutare la situazione, se fossimo andati verso lo scoglio sarebbe stata una tragedia, andando verso il mare aperto in qualche modo abbiamo fatto... poi io sono molto lento, io non ho sangue freddo ma sono lento nell’aver paura, quindi li per li sembro uno che rimane impassibile poi dopo due ore... però ormai il più è passato

 

Nuovo Abitare: Cino, come la notorietà ti ha cambiato nel rapporto con il mare?

 

Cino Ricci: Sicuramente un po’ mi ha cambiato anche se non me ne accorgo, probabilmente se ne accorgono più gli altri... ma io faccio finta che non mi abbia cambiato.

 

Patrizio: Secondo me lui ha una ricetta che non può fallire: lui ha un numero x di parole che può dire al mese, finite quelle basta, non dice più niente, per cui non concede un gran che allo spettacolo!

 

Nuovo Abitare: bisogna essere molto pragmatici in barca...

 

Patrizio: In effetti c’è un proverbio, anzi un’espressione sintetica anche un po’ vernacolare e un filo anche volgare che rende l’idea, cioè io credo che in barca sostanzialmente ci vogliano poche pippe... in effetti chi va in barca non ha tanti giri di parole ed è una persona molto concreta. Invece in questa società di pubbliche relazioni, della comunicazione c’è gente che spende moltissime parole e poi alle fine... E infatti il problema è che quando tu vai in barca con uno di cui devi fidarti, perché è lui che timona e supervede alla tua sicurezza, devi capire se è uno che appartiene alla categoria delle poche pippe o delle tante parole!

 

L'intervista è a cura della redazione di Nuovo Abitare, le splendide immagini di Adriatica che vedete a fianco, sono state scattate dal nostro amico fotografo Fabio Taccola

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