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di India Tabellini.


Quale esperienza non viene ricordata, associata anche ai suoni che l'hanno accompagnata?

Per noi, in Polinesia, il sottofondo è stato senza dubbio il suono dolce dell'ukulele unito a quello ritmato dei tamburi, che abbiamo sentito durante la Heiva e che abbiamo ballato nel giardino di Tumata Robinson, la più grande maestra di danza di Tahiti.


La musica ha sempre fatto parte della cultura polinesiana, da quando qualcuno, su una qualche isola sperduta, diede sfogo al ritmo che sentiva dentro sbattendo due bastoni tra loro. Quella serie di suoni "diceva" qualcosa alle persone, riusciva a mettere loro addosso una voglia irrefrenabile di muoversi, di lasciarsi trasportare ed esprimere i sentimenti in questo modo innovativo e così naturale.

Così a quel semplice, secco suono ligneo, si aggiunse quello più modulato dell'ukulele e, infine, le voci: uomini e donne uniti in un suono armonioso. La ricetta per un mondo migliore.

 

Infatti, cosa dovrebbe essere la società se non un'enorme orchestra? Un sistema in cui ognuno contribuisce portando un pezzettino, per formare un coro completo, che regali buona musica a tutti. Per ora, purtroppo, io sento solo suoni sconnessi, che vogliono solo sovrastarsi l'un l'altro, senza avere uno scopo comune. Chiusa parentesi sociologica. :)

 

Tornando alla musica... Quando arrivarono i missionari francesi, musica e danza vennero vietate (come ci ha raccontato anche Tumata). Ufficialmente erano considerate troppo sensuali, sconvenienti, ma in realtà la religione ed il buon costume erano un chiaro pretesto: i colonizzatori sapevano che questi erano i pialstri di una cultura autoctona che dovevano eliminare, per poter sottomettere completamente la popolazione.

I testi delle canzoni tramandavano le gesta di eroi che difendevano le loro isole dall'invasore, raccontavano dei grandi Poteri che avevano guidato il popolo polinesiano nella lotta per la sopravvivenza, lodavano delle Forze che andavano oltre quella umana e ma che, invece di intimorire le genti con regole ferree, le sostenevano nelle fatiche quotidiane. Tutti messaggi, voi capirete, scomodi e quasi provocatori verso i colonizzatori, che si consideravano superiori a qualsiasi regola, in terra di conquista.


Nel 1975 Atai Rairoa nel film/documentario "fratello mare" di Folco Quilici, "le ragazze ballano per soldi e non per divertirsi", negli hotel di lusso, solo per i turisti, per dare spettacolo. Insomma, rimpiangeva una Polinesia meravigliosamente selvaggia, vergine, incontaminata, usando ancora una volta come metafora quella della danza, della musica.

Certo, anche io sarei stata curiosa di conoscerla questa Polinesia terribilmente affascinante, ma un popolo non può vivere chiuso in sè stesso, insensibile agli stimoli che provengono dal resto del mondo. L'importanza sta nell'essere consapevoli della propria identità, appassionati della propria cultura e delle tradizioni, che imporranno anche delle regole, ma donano l'identità ad un popolo, il legame tra uomo e donna e bambino e anziano che sia.

 

La musica è un punto fermo della tradizione polinesiana e noi ci siamo lasciate trasportare pur essendo, e da qui parlo per me, scoordinata come pochi altri sulla terra! Nella mia testa avrei fatto capriole, salti e movimenti sciolti, per come sentivo quella melodia, che mi ha davvero emozionata, ma purtroppo queste sono attitudini che non possiedo... :D

 

Guardate nel video qui a destra le nostre lezioni di danza da Tumata... 

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